domenica 5 novembre 2023

Il regionalismo differenziato in Europa e ... in Italia

  

Il dibattito sulle autonomie differenziate, o sul regionalismo asimmetrico, in Italia verte essenzialmente sulla maggiore o minore efficienza che la prospettata riforma potrebbe, secondo i suoi sostenitori, assicurare al sistema politico italiano nel suo complesso.

Viene però segnalato che in Europa il tema del regionalismo asimmetrico non è in alcun modo un argomento tabù.

È utile però sottolineare come in Europa il regionalismo differenziato si leghi soprattutto all’esigenza di dare adeguata rappresentanza a distinte componenti etniche presenti sul territorio di alcuni Stati.

Si pensi, ad esempio, al Belgio, che, Stato originariamente unitario, ha avviato, a partire dal 1970, un ciclo di riforme che lo hanno portato ad assumere, nel 1993, l’attuale forma federale.

O ancora al Regno Unito, che ha adottato negli ultimi anni un modello regionale asimmetrico giungendo sulla soglia della separazione della Scozia, nella quale, nel 2014, si è svolto un referendum sull’indipendenza.

Anche l’esperienza spagnola presenta punti di contatto con gli esempi appena richiamati, quantomeno in relazione alla ratio sottesa al processo di identificazione delle Comunità autonome. In particolare alcune regioni, quali Catalogna, Galizia, Paese Basco, Comunità Valenciana, Isole Baleari, presentano una lingua ed una cultura proprie, e dunque una distinta identità etnica.

In tutti questi Paesi, insomma, l’identificazione geografica prende avvio dal riconoscimento delle diverse nazionalità e della correlativa composizione multinazionale dello Stato.

Ora, da questo punto di vista, è corretto affermare che la situazione corrispondente si è già verificata in Italia per il riconoscimento dell’autonomia speciale ad alcune regioni in Costituzione.

E dunque, se pure è vero che anche nella legislazione regionale più recente è agevole riscontrare, seppur con accenti diversi, il rilievo crescente assunto dai fattori storici e tradizionali, comunque si vogliano valutare queste prese di posizione (quale ad esempio l’evocazione del «popolo veneto» in alcune occasioni da parte della Regione Veneto), la matrice del regionalismo asimmetrico in Italia appare invece da ricondursi a un desiderio di competizione amministrativa con il sistema unitario dominato dagli Enti centrali, spesso polemicamente definito come inefficiente e iperburocratico.

Insomma, tutta un’altra problematica.

Rosario Sapienza

 

 

 

 

domenica 3 gennaio 2021

Autonomie e Libertà in Europa verso un nuovo decennio

 

Nel 2020 abbiamo celebrato il trentesimo anniversario dell’avvio, nel 1990, di Autonomie & Libertà in Europa, un movimento di idee e azione per una Europa più vicina ai problemi della gente comune.

Nel 1990, anno del varo delle Conferenze Intergovernative che avrebbero poi portato al Trattato di Maastricht, decidemmo di dare struttura più organica alle indagini che fino a quel momento avevamo condotto sulla politica regionale prima e di coesione poi della Comunità europea e sulla protezione dei diritti umani in Europa at large, includendo anche le tematiche relative alla Convenzione europea dei diritti umani.

Avevamo l’impressione già allora che la manualistica corrente avesse finito con l’imporre un approccio al diritto dell’Unione europea tendente a darne una ricostruzione artificiale e speciosa, vittima di un approccio riduzionista la cui esclusività non si giustificava (e non si giustifica nemmeno adesso) né sul piano euristico né sul piano etico, derivando esso da una precomprensione, ormai anacronistica, secondo la quale la Comunità prima e l’Unione dopo si dovessero indentificare solo con il loro apparato di governo, scilicet le istituzioni, mentre il governo del territorio e  delle persone sarebbe rimasto, per dir così, nel dominio riservato degli Stati membri

A questo approccio intendevamo noi non contrapporre, ma affiancare piuttosto, lo studio dell’Unione europea, e segnatamente del suo diritto, a partire dai variegati e complessi equilibri che si costituiscono in singole politiche che, per varie ragioni, appaiono degne di attenzione e suscettibili di offrire punti di vista originali e innovativi.

Queste politiche le individuammo, piuttosto semplicemente, a partire dalla triade di Montesquieu. Ritenendo che l’approccio tradizionale allo studio del diritto dell’Unione europea avesse approfondito solo il versante delle istituzioni e dunque   solo il versante del governo, restava da dire del territorio e del popolo.

Ciò chiamava in causa, quanto al territorio, sia la politica di coesione, quale insieme di strategie attraverso le quali l’Unione invera il suo sistema giuridico sul territorio, sia quelle relazioni giuridicamente significative che l’Unione intrattiene con enti di rango sub-statale, capaci di offrire alternative al modello quasi- o pseudo-federale, sottinteso ai rapporti dell’Unione con gli Stati.

E, sul versante dei rapporti con la popolazione, la cittadinanza europea, primo vero banco di prova della volontà dell’Unione di esistere (e degli Stati membri di farla esistere) al di là delle relazioni fra Stati, dialogando con i propri cittadini.

Attraverso questa analisi di ambiti apparentemente distanti fra di loro, accostati in maniera che certamente potrebbe apparire stravagante ai più, ritenevamo di poter ricostruire una immagine dell’Unione certamente più vicina alla sua realtà di singolare ente giuridico frutto di sintesi innovative e garante di equilibri più avanzati tra il potere e coloro che in Europa ad esso sono soggetti.

E ciò nella convinzione che il compito del giurista oggi sia quello di indirizzare le energie che emergono dalla convivenza sociale su nuovi percorsi di dialogo con le istituzioni, senza rinchiudersi nella turris eburnea dell’accademia.

 La Rivincita dei Territori

 Occorreva insomma tornare ai territori, luoghi di elezione del legame sociale, tanto dimenticati da questa Europa di plastica, dove uomini senza tempo vivono vite di plastica in città anonime comunicando ormai soltanto in uno spazio cibernetico virtuale.

E dove la relazione sociale si costituisce semplicemente attraverso l’introiezione della relazione di una comunicazione a senso unico, che irrompe nella solitudine dell’individuo e di nuovo lo fa schiavo secondo la ben nota sequenza: individuo-consumatore-spettatore-elettore.

A questa dinamica, umanamente insostenibile,  sempre più si deve opporre un movimento nel quale la difesa del territorio assume la valenza della difesa di una alterità: la difesa non del territorio indifferenziato di un’ecologia di maniera, ma la difesa del mio territorio, del nostro territorio come spazio vitale nel quale crescono e si affermano la diversità contro l’omologazione, la carne e il sangue contro la plastica, la vita vissuta contro l’artificialità della vita pensata, rapporti umani significativi e gratuiti contro rapporti tra individui atomizzati che sono solo contatti/contratti.

Né riteniamo sufficiente lo spazio concesso alle realtà regionali all’interno dell’attuale costruzione europea. Occorre invece puntare a una decisa valorizzazione delle dimensioni territoriali. Anche all’interno degli Stati, la cui sovranità non può rappresentare uno schermo al riparo del quale edificare nuove strategie centraliste. L’Unione europea dispone, a partire da una corretta interpretazione del principio di sussidiarietà, degli strumenti per una autentica regionalizzazione, promuovendo lo sviluppo delle aree bisognose di rinnovate strategie di coesione.

Questa esigenza si manifesta oggi in Europa, e non solo, nei numerosi movimenti di rivendicazione dell’autonomia di questo o quel territorio (in una logica di autonomia o di autodeterminazione, poco importa a questi nostri fini), che non sono semplici richieste di una diversa organizzazione della cosa pubblica,  ma istanze forti di riconoscimento di una diversità di gruppo che non vuol cedere alla massificazione dell’individualismo  metropolitano e che fondano proposte politiche alternative ai tanti centralismi, a loro volta  espressione delle logiche spersonalizzanti del potere.

 Appare chiaro dunque che ci troviamo oggi di fronte a una vera e propria rivincita dei territori, laddove il proliferare di istanze anticentraliste costituisce il Leit-Motif di un discorso politico non nuovo, certo, ma altrettanto certamente assai significativo che deve essere adeguatamente esaminato dai decision makers e messo a tema.

Per ricostituire così aree di significatività sociale, all’interno delle quali solamente può avere concreto significato una vita non dominata dall’ideologia economicista. 

 Potere, Ordine, Territorio

 Tutto ciò si ricollega poi a una posizione più generale, se si vuole di filosofia politica.  C’è infatti un nesso genetico tra il potere e il territorio nella teoria politica e filosofica del potere.  Carl Schmitt ricorda che l’ordine costituito è un ordine sul territorio, e che la parola ordine condivide l’etimo con la parola che indica l’origine, dunque un luogo. E il potere è un potere che si esercita appropriandosi di uno spazio, fin dalla prima riflessione ancora in epoca feudale.

 Quando si mette a punto una teoria della sovranità dello Stato il territorio assurge da subito al rango di elemento costitutivo della persona giuridica dello Stato.   Ma la giuridificazione del potere altro non è se non l’esito di un processo di astrazione, che conduce a fare del territorio una immagine indifferenziata, astraendo appunto da ciò che lo rende una realtà viva e concreta. E, in generale, le teorie giuridiche sono teorie di astrazione e metafisicizzazione del reale, il cui esempio migliore è offerto dal continuum Kelsen-Luhmann, che conduce alla costruzione di una teoria giuridico-politica formale e astratta.

Questo processo conduce poi (e in essa si esalta) alla totale metafisicizzazione del potere attraverso la telematica, che altro non è se non la collocazione dei rapporti in un non luogo cibernetico che come tale prescinde da una collocazione reale e viva.

Uomini senza tempo vivono vite di plastica in città anonime comunicando ormai soltanto in uno spazio cibernetico virtuale.

E la relazione di potere si costituisce semplicemente attraverso l’introiezione della relazione di una comunicazione a senso unico, che irrompe nella solitudine dell’individuo e di nuovo lo fa schiavo secondo la ben nota sequenza: individuo-consumatore-spettatore-elettore.

 Autonomie & Libertà in Europa e il diritto internazionale europeo

 Un’ ultima considerazione va riservata ai rapporti tra Autonomie & Libertà in Europa e l’approccio ormai noto come diritto internazionale europeo.

Quando si pensa all’integrazione europea si pensa all’Unione europea e si fa bene perché fra i 27 Stati che ne fanno parte di realizza una forte, pronunciata integrazione.

Ma non si deve dimenticare che questi 27 Stati fanno parte del Consiglio d’Europa, organizzazione che conta oggi 47 Stati membri impegnati in una strategia a lungo termine volta alla costruzione di un’area estesa ove si affermi un modello di Stato caratterizzato dal rispetto dei diritti umani, organizzato secondo principi democratici e nel rispetto della rule of law.

Né va dimenticato altresì che i 47 Stati parti del Consiglio d’Europa fanno a loro volta parte di una più ampia compagine istituzionale, l’OSCE di cui fanno parte 57 Stati europei, nordamericani e dell’Asia centrale.

Ciascuna di queste organizzazioni si pone come elemento promotore di strategie regionali di ordine e sicurezza, che tuttavia pur mirando ad obiettivi comuni o comunque compatibili fra loro non sono al momento fra loro coordinate.

Un elemento in comune è rappresentato dalla promozione di un modello di Stato nel quale l’autorità del potere centrale sia comunque limitata dal riconoscimento di una tutela delle autonomie territoriali e dalla tutela dei diritti umani individuali e collettivi.

L’integrazione di queste strategie di tutela genera un assetto destinato ad influire sugli equilibri “costituzionali” all’interno degli Stati parti delle tre organizzazioni, in una feconda contaminazione di metodi e modelli.

Autonomie e Libertà in Europa nasce per indagare proprio questo complesso assetto e ricostruirne le dinamiche e gli equilibri.

 

 

giovedì 26 novembre 2020

Lettere da Strasburgo. Per i settant'anni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo


 

In questo mese di novembre settant’anni fa, precisamente il 4 novembre 1950, veniva aperta alla firma la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Si sono e si stanno succedendo sulle più varie piattaforme, a motivo della pandemia che impedisce assembramenti, celebrazioni di questo importante anniversario.

La Corte europea dei diritti dell’uomo, organo di garanzia della Convenzione, ha celebrato l’anniversario assai per tempo, con un seminario in presenza, nel gennaio di quest’anno in occasione dell’apertura del suo anno giudiziario.

Ed in verità, le celebrazioni dell’anniversario della Convenzione si stanno incentrando sul ruolo della Corte, spesso dimenticando che la Convenzione è più che la Corte stessa e il Consiglio d’Europa è più che la Convenzione.

Certo, il sistema della Corte europea, vero e proprio tribunale internazionale posto a presidio della Convenzione, un trattato internazionale scritto come un catalogo “costituzionale” dei diritti fondamentali, ha fatto da catalizzatore al rinnovarsi anche in tempi recenti della nostalgia per una giurisdizione sovrastatale di una ipotetica realtà quasi federale europea.

Non dobbiamo però dimenticare due elementi fondamentali.

Il primo è che lo schema del ricorso individuale ad un organo giudiziario di tutela e controllo è solamente uno tra i tanti metodi di controllo che l’evoluzione del diritto internazionale ha reso disponibili.

Il secondo elemento di riflessione è che il fatto che l’avvio del procedimento di controllo dipenda dal ricorso dell’individuo implica, a sua volta, che il meccanismo di tutela rimanga condizionato da questo ricorso individuale, che proprio perché individuale, si attiva solo quando l’individuo così ritenga.

La giurisprudenza della Corte, certamente pregevole, va vista dunque nell’ambito di una più ampia strategia nella quale essa si inserisce, quella posta in essere dagli organi politici del Consiglio d’Europa, sia l’Assemblea Parlamentare che il Comitato dei Ministri, a difesa dei diritti umani.

Ne viene fuori un quadro di cooperazione serrata, quasi di integrazione, nel cui ambito operano strumenti peculiari del sistema, quali certamente sono la Corte con le sue sentenze ed anche l’Assemblea Parlamentare con le sue risoluzioni e raccomandazioni, e altri più tradizionalmente riconducibili alla dimensione del negoziato politico tra gli Stati.

Quel che importa però è che il Consiglio d’Europa ci abbia assicurato settant’anni di costante progresso nella tutela dei diritti dell’uomo.  

 

 

 

domenica 22 novembre 2020

Il Barometro Regionale e Locale. Il Rapporto annuale 2020

 

Nel quadro della Settimana europea delle regioni e delle città, promossa dal Comitato delle Regioni dell'Unione europea, è stata presentata la prima edizione del Barometro Regionale e Locale un rapporto annuale che ha lo scopo di saggiare e descrivere lo “stato di salute” delle autonomie regionali e locali nell’Unione.

Questa prima edizione si è incentrata tutta sull’impatto che la pandemia da Covid 19 ha avuto sugli enti locali e regionali europei, che sono stati in prima fila nella gestione delle strategie messe in atto per fronteggiarla.

Dal rapporto emerge che la pandemia ha colpito in maniera diversa i vari territori europei, documentando con un accurato apparato statistico ciò che si era indubbiamente già percepito.

Altro dato interessante è che in generale i cittadini europei manifestano la convinzione che siano proprio i governi locali e regionali gli enti meglio attrezzati per la gestione delle problematiche sanitarie sul territorio.

Convinzione che anche la presidente della commissione Ursula von der Leyen ha fatto propria, dichiarando che la Settimana europea delle Regioni e delle Città è stato un chiaro messaggio mandato alle capitali degli Stati europei sulla necessità del coinvolgimento delle autorità locali e regionali nella gestione delle strategie antiCovid 19.

Ciò però, ha concluso la von der Leyen, investe i poteri locali e regionali di una grande responsabilità.


 

 

 

domenica 14 giugno 2020

Per i venticinque anni del Comitato delle Regioni dell'Unione europea

Si è tenuta a Bruxelles dall'11 al 13 febbraio scorsi la sessione inaugurale del nuovo Comitato delle Regioni dell'Unione europea eletto per il quinquennio 2020-2025.

Istituito ormai più di venticinque anni fa, nel 1994, esso assicura la rappresentanza nel panorama europeo delle autorità regionali e locali degli Stati membri,al fine di poter esprimere il loro parere sulle strategie dell'Unione che tocchino i profili di loro competenza.

Ai sensi dell'articolo 307 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, infatti, "Il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione consultano il Comitato delle regioni nei casi previsti dai trattati e in tutti gli altri casi in cui una di tali istituzioni lo ritenga opportuno, in particolare nei casi concernenti la cooperazione transfrontaliera".

Con la creazione del Comitato delle Regioni, i canali rappresentativi all'interno dell'Unione si sono arricchiti di una nuova dimensione, accanto a quella politica generale assicurata tramite il Parlamento europeo, quella per ceti, veicolata attraverso il Comitato economico e sociale, e, volendo aderire ad una opinione diffusa, quella dei Governi assicurata dal Consiglio dell'Unione.

Si tratta di un risultato importante e l'operato del Comitato in questi venticinque anni, zelante ed intenso, sta a dimostrarlo.

Inoltre, l'esistenza del Comitato ha fatto da catalizzatore ad un vivace movimento associativo delle regioni e dei poteri locali in Europa che ha reso questi enti protagonisti dello spazio europeo e ha notevolmente condizionato l'operato delle istituzioni e degli stessi Stati.

Tanto che, molti (e noi tra questi) cominciano a pensare che il ruolo consultivo previsto dall'articolo 307 sia decisamente riduttivo per una realtà così ricca e articolata.

sabato 6 giugno 2020

Un processo per diffamazione in Sildavia. A Catania la seconda edizione della simulazione processuale in diritto internazionale europeo dei diritti dell'uomo


Si è tenuto nei mesi di aprile e maggio il corso di simulazione processuale in diritto internazionale ed europeo che simula una udienza davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Il corso, giunto alla sua seconda edizione, si inserisce però in un tessuto di attività di simulazione processuale avviato già nel 2008 presso la cattedra catanese con l'iniziativa "Il diritto internazionale nel processo italiano". 

Nella sua attuale versione, la simulazione processuale catanese serve anche come "talent" per la formazione della squadra catanese che annualmente prende parte al Premio Sperduti, simulazione organizzata a Roma dalla Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale, e nella quale le squadre catanesi, guidate dalla coach Maria Manuela Pappalardo, sono risultate finaliste per ben quattro volte negli ultimi cinque anni e vincitrici assolute in due delle quattro finali disputate.

L'edizione di quest'anno aveva ad oggetto lo studio della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di diffamazione a mezzo stampa, nella quale spiccano i numerosi casi relativi all'Italia, fino al celeberrimo caso Sallusti del 2019 e al recentissimo caso Magosso e Brindani contro Italia.

Come nella simulazione del Premio Sperduti, le squadre si affrontano a difesa del ricorrente e dello Stato, discutendo un caso immaginario contro uno Stato di fantasia (i cui rifermenti normativi salienti sono, però, offerti dall'ordinamento giuridico italiano). 

Ecco qui di seguito la traccia relativa al caso "Deship contro Sildavia"

Il giornalista Sean Deship lavora presso il Corriere di Mangrovia, il giornale più importante dello Stato della Sildavia (Stato parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo) e pubblica il 23 dicembre 2003 sul suo giornale una intervista con un informatore del controspionaggio sildaviano, il quale attacca il generale De Benis, ormai in pensione, sostenendo che circa dieci anni fa, quando era a capo dei servizi del controspionaggio aveva omesso di dare seguito ad una informativa riservata su un attentato. L’attentato si verificò e in esso persero la vita numerosi civili.

Dopo la pubblicazione dell’articolo, il Generale De Benis querela per diffamazione il Deship e il Tribunale di Mangrovia, il 18 settembre 2004 lo condanna per diffamazione a mezzo stampa, non accogliendo la tesi della difesa secondo la quale il giornalista si era limitato a riferire il contenuto di dichiarazioni che aveva raccolto nel corso della intervista e che la pubblicazione dell’articolo era avvenuta nell’esercizio del diritto di cronaca.

Il Tribunale ritiene infatti che non sia stato rispettato il principio della pertinenza (i fatti devono avere un interesse obiettivo per l’opinione pubblica), né il principio di continenza (i fatti devono essere esposti in maniera corretta e obiettiva), né tantomeno il principio della verità (i fatti devono corrispondere alla verità oggettiva di quanto effettivamente verificatosi).

Il Deship presenta ricorso alla Corte d’Appello, che però, decidendo il 28 giugno 2006, conferma la decisione del giudice di prime cure, ritenendo l’articolo sicuramente diffamatorio.

Né dà migliori risultati un ricorso in Cassazione, dato che la Suprema Corte, decidendo il 13 settembre 2008 conferma quanto disposto dalle giurisdizioni di merito.

A questo punto Sean Deship presenta ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo lamentando la violazione dell’articolo 10 della Convenzione.

sabato 20 ottobre 2018

Per una Italia europea in una Europa federale

Carissimi tutti,
la sezione catanese del Movimento Federalista Europeo vi invita a
preder parte all'incontro che terremo il 26 ottobre prossimo nell'aula
magna del Camplus College d'Aragona (gentilmente concessa) in via Mons.
Ventimiglia 184 con inizio alle ore 16.00
Secondo un impegno preso in occasione della sessione dell'Ufficio del
Dibattito nazionale dello scorso febbraio, iniziamo le attività con la
campagna per un'Italia europea in una Europa federale.
La nostra campagna, che intendiamo sviluppare di qui alle elezioni
europee del maggio 2019, si costruirà attraverso la creazione a
livello cittadino della Rete per un’Italia europea in un’Europa
federale e attraverso il rapporto diretto con i cittadini, sia in
piazza, sia tramite il lavoro con scuole, università e associazioni.
L’obiettivo è quello di portare al centro dell’azione di tutte forze
europeiste l’importanza e il significato della battaglia per la
riforma dell’Europa a partire dall’Eurozona, in modo che, in vista
delle elezioni europee, le forze con un programma pro-europeo possano
convergere su una piattaforma politica comune, creando un fronte
accomunato da un progetto di riforma europea coraggioso e capace di
rompere l’immobilismo ambiguo delle attuali famiglie politiche in seno
al Parlamento europeo. Al tempo stesso dobbiamo cercare di orientare
l’europeismo presente nella società rafforzandolo e indirizzandolo
verso un progetto che ridia un senso e una speranza a chi non si
lascia convincere dal discorso nazionalista e sovranista.
Spero di vedervi numerosi all'incontro di apertura della campagna
Saluti federalisti
Saro Sapienza